In arrivo i VSME – voluntary reporting standard per le PMI

Nella riunione del 29 novembre u.s. l’EFRAG ha approvato le bozze degli standard di rendicontazione di sostenibilità per le PMI (Voluntary standards for non-listed SMEs o VSME) che verranno sottoposte da gennaio 2024 ad un periodo di consultazione pubblica di 4 mesi. Un documento semplificato di natura volontaria per le PMI non quotate che rispetta il principio della proporzionalità, per consentire alle imprese non obbligate alla rendicontazione di iniziare il percorso di sostenibilità e di soddisfare le richieste informative provenienti da finanziatori, investitori e clienti aziendali.

Lo standard è composto da tre moduli:

Modulo Base (Basic Module) – il più accessibile per le piccole imprese con risorse limitate e per il quale non è richiesta un’analisi di materialità. Si rendicontano gli elementi essenziali che riguardano gli obiettivi di eco-sostenibilità della tassonomia, informazioni sulla propria forza lavoro e sulla condotta aziendale (condanne e sanzioni per corruzione e concussione).

Modulo Narrativo – Politiche, Azioni e Obiettivi (Narrative Module-PAT) – raccomandato per le imprese che hanno avviato un percorso strutturato verso la sostenibilità. Richiede un’analisi di materialità per determinare quali questioni di sostenibilità siano rilevanti per l’azienda e riguarda l’integrazione nella strategia aziendale e la gestione dei temi materiali, anche con il coinvolgimento degli stakeholders.

Modulo Partner Commerciali (Business Partners Module) – rivolto alle PMI che collaborano con una rete di partner commerciali (finanziatori, investitori e clienti) che richiedono dati più specifici e approfonditi sulla sostenibilità ambientale, sociale e di governance.

Considerato che la maggioranza delle imprese europee sono PMI, di cui molte entrano nelle catene di valore delle grandi imprese, investire nella sostenibilità e nella rendicontazione non è (più) un’opzione. Le grandi imprese, nel rendicontare l’informativa di sostenibilità, dovranno considerare non soltanto il perimetro di riferimento del bilancio ma includere anche le informazioni sugli impatti materiali, sui rischi e sulle opportunità connesse all’intera catena del valore a monte (upstream) e a valle (downstream): sempre più le PMI sono valutate per lo sforzo che compiono nella strutturazione di un percorso di sostenibilità e per la capacità di comunicarlo in maniera trasparente.

Ma la rendicontazione di sostenibilità rappresenta anche una leva di crescita per le PMI, in quanto i fattori ESG giocano un ruolo sempre più rilevante nell’accesso al credito e nel rapporto tra le banche e le imprese – aspetto estremamente rilevante per le PMI italiane, l’80% delle quali intrattiene normalmente rapporti con almeno due istituti bancari.

Comunicare la sostenibilità permette anche di accrescere la reputazione aziendale, di fidelizzare clienti, di attrarre e trattenere talenti, soprattutto fra i più giovani, di diventare competitivi e resilienti nei confronti dei peers.

Ancorché il Modulo Base lo consente, prescindere dall’analisi di materialità resta un approccio poco lungimirante. Si tratta di un percorso graduale non da subire, ma da vivere come opportunità di miglioramento e di incremento del valore aziendale.

La Commissione UE adotta gli standard europei di sostenibilità ESRS

Il 31/07/2023, è stato adottato ufficialmente dalla Commissione Europea il primo set di European Sustainability Reporting Standards (#ESRS) elaborati dall’#EFRAG, che, a partire dal 1° gennaio 2024, dovranno essere progressivamente utilizzati dalle società soggette alla Corporate Sustainability Reporting Directive (#CSRD).

Trattasi di 12 #standards – 2 Cross-cutting, 5 #Environmental, 4 #Social e 1 #Governance – che coprono tutte le principali questioni ambientali, sociali, economiche e di governance delle organizzazioni, rappresentando un vero e proprio punto di svolta a livello europeo in termini di #trasparenza e comparabilità delle informazioni relative a #impatti, #rischi e #opportunità di #sostenibilità.

La Commissione ha confermato la prospettiva di allineamento degli ESRS con gli #IFRS e i #GRI Standards a garanzia di un elevato grado di interoperabilità tra standard europei e globali volto ad evitare doppie rendicontazioni da parte delle organizzazioni.

Le principali modifiche apportate alle bozze degli standard presentate dall’EFRAG riguardano:

1️⃣ l’introduzione graduale di alcuni requisiti di rendicontazione ritenuti più impegnativi per le imprese al fine di fornire loro il tempo necessario per prepararsi; 

2️⃣ la concessione di una maggiore flessibilità nel decidere quali informazioni risultano rilevanti (materiali), quindi rendicontabili, sulla base della specifica situazione dell’impresa; ad eccezione dell’ESRS 2 tutti gli altri requisiti devono essere soggetti a rilevanza;

3️⃣ la conversione da obbligatori a volontari di alcuni dei requisiti di rendicontazione considerati più costosi per le imprese (es. comunicazione del piano di transizione per la biodiversità, indicatori relativi ai lavoratori autonomi e interinali nella forza lavoro dell’impresa).

Uno dei prossimi passi riguarderà l’elaborazione di standard di rendicontazione semplificati per le #PMI secondo il principio di proporzionalità alla base della CSRD.

A che punto siamo nell’affrontare i rischi finanziari legati al cambiamento climatico?

Ce lo dice il Progress report 2023 sui miglioramenti compiuti in relazione alla Roadmap for Addressing Climate-related Financial Risks, report pubblicato il 13 luglio dal Financial Stability Board (FSB) – organismo internazionale che si occupa del monitoraggio e della formulazione delle raccomandazioni ai partecipanti del sistema finanziario globale, coordinando le autorità finanziarie nazionali e gli organismi internazionali di normazione. 

Divulgata nel luglio 2021 e approvata dal G20, la Roadmap del FSB delinea le azioni chiave che gli enti sotto il suo coordinamento, interagendo tra loro, dovrebbero intraprendere nell’arco di alcuni anni al fine di poter affrontare i #rischi finanziari legati al #cambiamentoclimatico. Queste azioni fanno riferimento a quattro “blocchi”, sulla base dei quali si struttura il documento stesso: 

  1. Disclosures – con l’obiettivo di ottenere da parte delle imprese un’informativa pubblica sui rischi finanziari aziendali legati al clima che sia coerente a livello globale, comparabile e utile per prendere delle decisioni.
  2. Data – allo scopo di definire una base di dati completi, coerenti e comparabili per il monitoraggio dei rischi finanziari legati al clima a livello internazionale.
  3. Vulnerabilities analysis – per valutare in maniera più sistematica e comprendere meglio le vulnerabilità finanziarie legate al clima e i potenziali impatti sulla stabilità finanziaria.
  4. Regulatory and supervisory practices and tools – al fine di stabilire approcci e strumenti di vigilanza e regolamentazione efficaci e, laddove utili e appropriati, coerenti per affrontare i rischi legati al clima sia all’interno dei singoli settori che a livello di sistema.

Quali sono i progressi realizzati e quali le aree che richiedono una maggiore attenzione a distanza di due anni?

Il Progress report 2023 evidenzia progressi costanti per tutti e quattro i “blocchi” considerati, attenzionando però alcuni aspetti sui quali sono attesi ulteriori importanti miglioramenti

  1. Disclosures – estremamente significativa la pubblicazione il 26 giugno 2023 da parte dell’International Sustainability Standards Board (ISSB) degli International Financial Reporting Standards (IFRS) per la rendicontazione non finanziaria – IFRS S1 (informativa generale sulla sostenibilità) e IFRS S2 (informativa relativa al clima). La pubblicazione di tutti gli standard ancora in corso di elaborazione porterà ad avere un quadro di riferimento internazionale per il reporting di sostenibilità che consentirà alle aziende di tutto il mondo di fornire un’informativa coerente. La priorità attuale è far approvare gli standard nelle diverse giurisdizioni nazionali per promuoverne un utilizzo ampio e tempestivo, garantendo un’interoperabilità tra l’ISSB e le singole giurisdizioni al fine di evitare una doppia rendicontazione da parte delle imprese. Nel prossimo periodo ci si concentrerà sullo sviluppo e la definizione di un quadro di assurance a livello globale volto a garantire l’affidabilità delle informazioni riportate all’interno dei report di sostenibilità. Sarà inoltre interessante seguire, nei prossimi mesi, come si concretizzano gli sforzi verso la convergenza dei più importanti reporting standards – GRI, IFRS, ESRS – auspicando una consistente interoperabilità, al fine di non gravare eccessivamente sulle imprese ma consentire loro di rendicontare la sostenibilità negli aspetti rilevanti (“material”) attraverso metriche e indicatori comparabili, a beneficio di tutti gli stakeholder.
  2. Data – nel biennio 2022-2023 si è lavorato per migliorare la disponibilità, la qualità e la comparabilità dei dati sul clima. I prossimi obiettivi riguardano lo sviluppo di archivi globali con un semplice accesso ai dati da parte di tutti i soggetti interessati, il maggiore potenziamento della raccolta dei dati sul clima, migliorandone accuratezza, coerenza e qualità, e lo sviluppo di metriche rilevanti e dinamiche per la misurazione dei rischi climatici.
  3. Vulnerabilities analysis – nonostante i progressi compiuti nello sviluppo di quadri concettuali e metriche per il monitoraggio delle vulnerabilità legate al cambiamento climatico, risultano necessari ulteriori passi in avanti per integrare gli scenari climatici nelle analisi dei rischi finanziari.
  4. Regulatory and supervisory practices and tools – sono state realizzate iniziative per integrare il rischio climatico nei modelli e strumenti di gestione del rischio. Il Report evidenzia anche le importanti evoluzioni negli approcci normativi e di vigilanza sui rischi legati al clima. Considerata l’importanza di una integrazione strutturale della sostenibilità ambientale nei programmi di sviluppo sia dei partecipanti al sistema finanziario che di tutto il mondo corporate, l’FSB sta istituendo un gruppo di lavoro con il compito di promuovere l’approccio sistemico ai piani di transizione ecologica nella pianificazione delle imprese finanziarie e non, al fine di un progressivo rafforzamento della resilienza e della stabilità finanziaria. 

Certificazione UNI/PdR 125:2022 per la parità di genere: quali i vantaggi per le imprese?

Per lo sviluppo di politiche di #inclusione sociale, tra cui la riduzione della disparità di genere, il PNRR (Missione 5) ha stanziato 9,81 miliardi di euro. In tale frangente, la legge n. 162/2021, con l’obiettivo di promuovere azioni volte a ridurre il gender gap nelle aziende, ha introdotto in Italia lo strumento della certificazione della parità di genere. 

Quest’ultima è ottenibile ai sensi della Prassi di Riferimento UNI/PdR 125:2022, in vigore dal 16 marzo 2022, che definisce i criteri, le prescrizioni tecniche e le tematiche per l’introduzione, strutturazione, monitoraggio e mantenimento di un sistema di gestione per la parità di genere in azienda, al fine di misurare l’efficacia delle azioni intraprese dall’organizzazione per creare un ambiente di lavoro inclusivo delle #diversità

Il nuovo Codice degli appalti, in vigore dal 1° aprile 2023 le cui disposizioni sono efficaci dal 1° luglio prevede l’attribuzione dei punteggi premiali nelle aggiudicazioni alle aziende in possesso della Certificazione della parità di genere.

Quali sono gli altri vantaggi?

I benefici della certificazione di parità di genere riguardano aspetti economici, sociali e reputazionali in grado di conferire alle organizzazioni un miglior posizionamento sul mercato: 

• sgravio contributivo fino a 50.000 euro annui; 

• punteggio premiale per la concessione di aiuti di Stato e/o finanziamenti pubblici in genere;

• miglior posizionamento in graduatoria nei bandi per l’acquisizione di servizi e forniture; 

• maggior attrattività nei confronti del personale in fase di selezione; 

• migliore immagine nei confronti dei clienti e della società in genere.

Vuoi sapere a che punto è la tua azienda in relazione all’ottenimento della certificazione sulla parità di genere secondo la UNI/PdR 125:2022? Compila il nostro breve form cliccando qui!

Sarà nostra premura contattarti al più presto per la restituzione di un primo feedback.

#sustainabledevelopment #genderequality #diversityandinclusion #corporateresponsibility

L’Italia peggiora sulla parità di genere: come possono contribuire le nostre imprese al miglioramento?

Secondo il World Economic Forum (Global Gender Gap Report 2023, 17esima edizione) dovranno passare ancora 131 anni prima di poter raggiungere complessivamente a livello globale la parità di genere, da intendere come pari partecipazione economica e opportunità, risultati scolastici, salute e sopravvivenza ed emancipazione politica. In particolare, allo stato attuale, sono ben 162 gli anni mancanti per arrivare alla parità politica e 169 per arrivare a quella economica.  

Dati ancora più agghiaccianti se si pensa alla posizione ricoperta dall’Italia. A livello nazionale ci siamo posizionati, su un totale di 146 Paesi, alla 79esima posizione, perdendo 16 posizioni in classifica rispetto al 2022. Inoltre, dato che dovrebbe maggiormente far pensare, siamo tra i Paesi con i punteggi più bassi per quanto riguarda la partecipazione economica e le pari opportunità (104esima posizione nel 2023). Nonostante il lieve miglioramento registrato rispetto al 2022 in tal senso (6 posizioni in classifica), risulta necessario che le imprese si impegnino il più possibile ad integrare i principi di gender equality e di rispetto delle diversità a livello strategico e di operations aziendali al fine di contribuire a colmare il divario di genere; solamente colmando questo divario sarà possibile garantire una crescita economica inclusiva e sostenibile nel lungo periodo. In Italia lo strumento attualmente più completo per apportare questo contributo è l’introduzione e strutturazione di un sistema di gestione certificato per la parità di genere secondo la UNI/PdR 125:2022.

Vuoi sapere a che punto è la tua azienda in relazione all’ottenimento della certificazione sulla parità di genere secondo la UNI/PdR 125:2022? Compila il breve form del nostro partner s-mood sustainable solutions cliccando qui!

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Certificazione UNI/PdR 125:2022: benefici e prospettive per le PMI italiane

La UNI/PdR 125:2022, con l’obiettivo di “colmare i gap attualmente esistenti nonché incorporare il nuovo paradigma relativo alla parità di genere nel DNA delle organizzazioni e produrre un cambiamento sostenibile e durevole nel tempo”, definisce i criteri, le prescrizioni tecniche e le tematiche per l’introduzione, strutturazione, monitoraggio e mantenimento di un sistema di gestione per la parità di genere in azienda, al fine di misurare l’efficacia delle azioni intraprese dall’organizzazione per creare un ambiente di lavoro inclusivo delle diversità.

La certificazione può essere richiesta da qualunque tipo di organizzazione (qualsiasi dimensione e forma giuridica; settore pubblico o privato) ad esclusione delle Partite IVA che non hanno dipendenti o addetti/e.

L’impegno che un’impresa investe per ridurre il divario di genere costituisce un forte elemento di differenziazione. I benefici della certificazione di parità di genere riguardano aspetti economici, sociali e reputazionali in grado di conferire un miglior posizionamento sul mercato: lo sgravio contributivo fino a 50.000 euro annui e il punteggio premiale per la concessione di aiuti di Stato e/o finanziamenti pubblici in genere, oltre che nei bandi per l’acquisizione di servizi e forniture si aggiungono alla maggior attrattività nei confronti del personale in fase di selezione e nei confronti dei clienti e della società in genere.

Ma qual è la situazione delle nostre PMI in merito all’inclusione e alla valorizzazione della diversità? Ce lo racconta Nomisma nella recente ricerca Diversità, Equità, Inclusione nelle PMI italiane, che ha visto coinvolto un campione di 503 tra piccole (62% del campione) e medie (38%) imprese italiane con interviste realizzate tra febbraio e marzo 2023.

La ricerca restituisce una percezione parziale, addirittura “acerba” (a detta del Sole 24 ore) da parte delle nostre aziende in merito al tema dell’inclusione e della valorizzazione delle diversità e tenta di individuare i gap da colmare per facilitare la creazione di una vera e propria cultura aziendale. La ridotta dimensione aziendale (quindi di budget) risulta il principale ostacolo all’attivazione di iniziative Diversità, Equità ed Inclusione (DEI), accompagnata da una visione arcaica dei temi e da un limitato ricorso a figure dedicate alla gestione delle politiche, procedure e processi sull’argomento. Infatti, le PMI hanno difficoltà a percepire i vantaggi nel lungo periodo collegati alle iniziative DEI, considerate secondarie o non importanti da quasi metà degli intervistati.

Il primo passo è aumentare la consapevolezza sulla centralità dei temi DEI nella strategia competitiva di ogni azienda, da inserirsi necessariamente in un percorso di cui beneficia l’intero sistema Paese.

Siamo a vostra disposizione per consolidare la visione sulla Diversità, Equità ed Inclusione all’interno della vostra realtà aziendale, per poi pianificare un percorso volto alla sua integrazione a livello strategico e operativo, alla predisposizione di un sistema di gestione per la parità di genere, fino all’ottenimento della certificazione secondo la UNI/PdR 125:2022 e successivi rinnovi.

Vuoi sapere a che punto è la tua azienda in relazione all’ottenimento della certificazione sulla parità di genere secondo la UNI/PdR 125:2022? Compila il nostro breve form cliccando qui!

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Luminita Naca, Certified ESG Analyst, EFPA ESG Advisor

Non c’è (Scope 1 e) 2 senza (Scope) 3

È appena calato il sipario sulla Conferenza di Bonn sui cambiamenti climatici, importante tappa prima della COP28 in programma per fine novembre. Nella conferenza stampa di giovedì scorso, il Segretario Generale ONU definisce “pietosa” la risposta del mondo di fronte al riscaldamento globale ed esorta i governi nazionali ad accelerare l’azione per il clima per raggiungere gli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.

L’affidamento su soluzioni rapide, basso impegno e poca chiarezza, porteranno alla fine del secolo alla situazione in cui il globo terrestre avrà accumulato 2,8°C in più rispetto alle temperature pre-industrializzazione: una catastrofe annunciata! Oggi emettiamo a livello mondiale circa 50 miliardi di tonnellate di CO2eq ogni anno; oltre il 40% rispetto al 1990, che contava circa 35 miliardi di tonnellate (Dato 2021, Our World in Data, CO2 and Greenhouse Gas Emissions database).

Tutti noi possiamo fare la differenza. In particolar modo le imprese, alle quali viene richiesto di muoversi sui due principali fronti attorno ai quali le politiche internazionali sul cambiamento climatico si stanno orientando, adottando un approccio olistico che consideri l’intera value chain: la contabilizzazione delle emissioni e la pianificazione di azioni consapevoli volte alla loro riduzione.

Una corretta e completa misurazione delle emissioni da parte delle organizzazioni dovrebbe considerare:

  • Scope 1: emissioni che provengono dagli asset aziendali (strutture, veicoli); sotto il diretto controllo dell’azienda.
  • Scope 2: emissioni indirette legate all’energia consumata nell’ambito delle attività aziendali (elettricità per riscaldamento, raffreddamento); influenzate dalle decisioni d’acquisto di energia.
  • Scope 3: emissioni che derivano dalla catena del valore sia a monte (catena di approvvigionamento) che a valle (distribuzione, gestione dei rifiuti, utilizzo prodotto venduto) e dagli investimenti aziendali; al di fuori dei confini dell’organizzazione.

Allo stato attuale risulta che, contrariamente a quanto accade nell’elaborazione dello statement finanziario, le organizzazioni non sono rigorose nella misurazione e comunicazione delle proprie emissioni di gas serra. Il monitoraggio e la rendicontazione si focalizzano quasi esclusivamente sulle emissioni Scope 1 e 2, tralasciando quelle Scope 3 poiché non sotto il loro diretto controllo e in ogni caso difficili da identificare e quantificare. Ma sono proprio le emissioni Scope 3 che incidono maggiormente in termini di impatti generati; oltre il 70% dell’impronta carbonica di un’azienda secondo quanto dichiarato dall’UN Global Compact.

Diventa perciò necessario che le imprese, nonostante le lacune ancora presenti a livello normativo in termini di armonizzazione delle metodologie di calcolo delle emissioni e di non obbligatorietà di inventario e divulgazione, si attivino al più presto per includere nel perimetro di analisi e monitoraggio le emissioni di gas serra provenienti da categorie significative dello Scope 3 come ad esempio: acquisti a monte, prodotti venduti a valle e loro utilizzo fino allo smaltimento, trasporti, viaggi e investimenti finanziari.

Ma la strada non è priva di ostacoli: se con Scope 1 e 2 si riescono a catturare dati sufficientemente realistici e significativi, la mancanza di dati lungo le catene di fornitura genera non poche difficoltà e responsabilità nelle misurazioni e nei reporting.

Il monitoraggio e la corretta divulgazione delle emissione Scope 3, insieme a quelle Scope 1 e Scope 2, fondamentali per scongiurare i rischi di greenwashing, rappresentano una necessità attuale per:

  • i partecipanti ai mercati finanziari al fine di allocare correttamente il capitale;
  • i regolatori e la comunità scientifica nella progettazione di politiche efficaci;
  • le imprese per poter comprendere il loro impatto effettivo sul cambiamento climatico e prendere le corrette decisioni di investimento; il tutto in ottica di raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi.

Ciò implica per le organizzazioni un’attenta individuazione delle realtà che compongono la catena del valore, un’accurata attività di sensibilizzazione sull’importanza del monitoraggio delle emissioni e di scambio di informazioni con le medesime e lo sforzo di intraprendere azioni condivise e mirate al fine di ridurre l’impatto della propria attività sul riscaldamento globale.

Sebbene i recenti sviluppi a livello europeo che ampliano la platea di soggetti obbligati alla rendicontazione di sostenibilità (CSRD e standard di rendicontazione ESRS) potrebbero portare a miglioramenti nella qualità e nei contenuti della divulgazione delle emissioni, è fondamentale che anche le PMI riconoscano sin da subito l’importanza di affrontare le emissioni Scope 3, orientando le proprie risorse al monitoraggio delle stesse lungo l’intera catena del valore per prendere decisioni consapevoli in ottica di una loro riduzione. È necessario correggere la rotta per avvicinarsi alla prospettiva di raggiungimento dell’obiettivo europeo Net Zero entro il 2050 e allontanarsi sempre di più dallo scenario catastrofico di fine secolo evocato di recente da Antonio Guterres.

Di Luminita Naca, Certified ESG Analyst, EFPA ESG Advisor.

Parità di genere: contributi per la certificazione UNI/PdR 125:2022

La Legge 5 novembre 2021 n. 162 sulla parità salariale ha introdotto nell’ordinamento italiano la certificazione di parità di genere, rivolta alle aziende virtuose che si impegnano a ridurre il divario di genere su vari fronti

CSRD e CSDD: quali le conseguenze a livello di catena del valore?

La Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD) e la recente proposta di Corportate Sustainability Due Diligence Directive (CSDD) porteranno progressivamente una buona frazione di imprese operanti sul territorio dell’Unione ad assumere un atteggiamento proattivo nei confronti della transizione verso uno sviluppo economico sostenibile, introducendo nuovi obblighi di trasparenza che presuppongono l’adozione di un approccio di filiera.

Approccio che nel concreto comporterà:

  • per le imprese soggette alle direttive, il dover porre una particolare attenzione alle realtà che compongono la propria catena del valore per promuovere presso le stesse l’adozione di comportamenti responsabili in termini di gestione degli impatti generati su persone ed ambiente;
  • per le PMI e Microimprese facenti parte delle supply chain, prepararsi adeguatamente sin da subito per rispondere al nuovo livello di trasparenza richiesto.

La CSRD – entrata in vigore il 14 dicembre 2022 per estendere l’obbligo di rendicontazione di sostenibilità a tutte le grandi imprese non soggette alla Direttiva 2013/34/UE sulla rendicontazione non finanziaria (dall’esercizio avente inizio il 1° gennaio 2025) e alle PMI quotate (dall’esercizio avente inizio il 1° gennaio 2026) – ha il principale obiettivo di introdurre una reportistica standardizzata in termini di struttura e contenuti, quindi comparabile e di qualità, che permetta di influenzare i modelli di business delle organizzazioni al fine di integrare i fattori ESG a livello strategico e di operations aziendali. Per raggiungere tale obiettivo, l’European Financial Reporting Advisory Group (EFRAG) sta redigendo gli European Sustainability Reporting Standard (ESRS), ovvero 12 standard per il reporting di sostenibilità che abbracceranno tutte le tematiche ESG seguendo il principio di proporzionalità (semplificati per le PMI).

La notizia più rilevante è che gli ESRS richiedono che il reporting si estenda anche alle realtà a monte e a valle della catena del valore dell’azienda, incorporando relativi dati sia di carattere sociale (condizioni di lavoro, accesso alle pari opportunità e questioni legate ai diritti umani, quali diritti sindacali, lavoro minorile, lavoro forzato e privacy) che ambientale (emissioni di CO2;Scope 3 per l’azienda di riferimento). In particolare, gli standard parlano di “due diligence”, da intendere come l’identificazione, la gestione e la mitigazione del rischio nella catena del valore aziendale, concetto perfettamente ricompreso nella CSDD.

La CSDD, adottata dalla Commissione Europea il 23 febbraio 2022, introdurrà nuovi obblighi di due diligence in materia ambientale e di tutela dei diritti umani nelle operazioni interne delle imprese soggette, nonché lungo tutta la loro catena del valore, in linea con i principi della CSRD. Benché il campo di applicazione riguardi le organizzazioni con più di 500 dipendenti e un fatturato complessivo superiore a 150 milioni di euro e, due anni dopo l’approvazione della legge, le PMI con più di 250 dipendenti e un fatturato complessivo superiore a 40 milioni di euro, esse appartengono ai settori considerati ad alto impatto  – tessile, agricolo, minerario – con catene di valore lunghe e complesse, a monte e a valle.

Ed è proprio questa la ratio con cui la norma amplifica il proprio raggio d’azione, coinvolgendo le aziende più piccole. Lo scenario che andrà nel breve a delinearsi a livello europeo sulla base della CSRD e della CSDD avrà come conseguenza diretta il coinvolgimento delle realtà appartenenti alla supply chain delle imprese soggette alle Direttive, a cui verranno richieste periodicamente informazioni quali-quantitative sulla sostenibilità oppure imposto il rispetto di determinati requisiti in materia socio-ambientale.

Considerare elementi di sostenibilità ambientale e sociale nella propria attività diventa un’esigenza per tutte le PMI e Microimprese direttamente o indirettamente coinvolte in questo scenario, e la consapevolezza sulle nuove misure normative introdotte è il primo passo per favorire la necessaria resilienza sul mercato. La sostenibilità, in tal senso, deve essere vista come investimento e opportunità per la generazione di valore nel lungo periodo, non come un mero costo a garanzia della conformità normativa.

Siamo a vostra disposizione per consolidare un approccio di responsabilità e sostenibilità nella vostra azienda, partendo dalla mappatura delle tematiche ESG rilevanti per l’impresa e i propri stakeholder, per poi pianificare un percorso volto alla loro progressiva integrazione a livello strategico e operativo, in base a metriche di misurazione riconosciute e adeguatamente selezionate.

8 maggio 2023

Luminita Naca, Certified ESG Analyst, EFPA ESG Advisor

Raggiunto l’accordo per l’European Green Bond Standard

Nel continuo sforzo di migliorare il quadro della finanza sostenibile, al fine di accelerare la transizione verso la sostenibilità, la scorsa settimana il Parlamento europeo e il Consiglio d’Europa hanno raggiunto l’intesa per l’”European Green Bonds Standard” o EUGBS – standard che delinea una serie rigorosa di criteri di investimento e regole di trasparenza per gli emittenti di obbligazioni verdi.

In primis, la garanzia che tutti i proventi siano investiti in attività allineate con la tassonomia dell’UE (con una flessibilità che consente di investire 15% in attività economiche conformi alla tassonomia (“eligible”), ma in settori per i quali non sono ancora stati stabiliti i criteri di vaglio tecnico.

Gli emittenti saranno anche obbligati a dimostrare come questi investimenti si inseriscono nei piani di transizione dell’azienda nel suo complesso.

Il regolamento stabilisce un sistema di registrazione e un quadro di vigilanza per i revisori esterni dei green bond europei, ovvero i soggetti indipendenti responsabili di valutare se un’emissione obbligazionaria ha le caratteristiche per potersi chiamare “green”-  con l’obiettivo di standardizzare il lavoro di verifica dei revisori e migliorare la fiducia nel processo di revisione.

EUGBS

Altrettanto importante, il regolamento stabilisce che qualsiasi conflitto di interesse reale o anche solo potenziale sia adeguatamente identificato, eliminato o gestito e reso noto in modo trasparente. Potranno essere sviluppati standard tecnici che specifichino i criteri di valutazione e di gestione dei conflitti di interesse.

Per la prima volta sarà disponibile un modello standardizzato che gli emittenti potranno utilizzare per comunicare le informazioni sull’allineamento alla tassonomia dei green bond, riducendo così gli oneri amministrativi e l’incertezza sia per gli emittenti di green bond che per i loro investitori. Ciò consentirà agli investitori di valutare, confrontare e ritenere più facilmente che i loro investimenti siano sostenibili, riducendo così i rischi di greenwashing.

Benché l’uso del modello sia volontario, i legislatori europei confidano che il Green Bond Standard dell’UE venga adottato a livello internazionale.

I requisiti di divulgazione potranno essere utilizzati anche dagli emittenti di obbligazioni che non soddisfano tutti i requisiti per qualificarsi come Green Bonds: assoggetarsi volontariamente a requisiti di trasparenza ambiziosi porta il beneficio di una maggiore fiducia da parte degli investitori.

8 marzo 2023

Luminita Naca, Certified ESG Analyst, EFPA ESG Advisor

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