CSRD e CSDD: quali le conseguenze a livello di catena del valore?

La Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD) e la recente proposta di Corportate Sustainability Due Diligence Directive (CSDD) porteranno progressivamente una buona frazione di imprese operanti sul territorio dell’Unione ad assumere un atteggiamento proattivo nei confronti della transizione verso uno sviluppo economico sostenibile, introducendo nuovi obblighi di trasparenza che presuppongono l’adozione di un approccio di filiera.

Approccio che nel concreto comporterà:

  • per le imprese soggette alle direttive, il dover porre una particolare attenzione alle realtà che compongono la propria catena del valore per promuovere presso le stesse l’adozione di comportamenti responsabili in termini di gestione degli impatti generati su persone ed ambiente;
  • per le PMI e Microimprese facenti parte delle supply chain, prepararsi adeguatamente sin da subito per rispondere al nuovo livello di trasparenza richiesto.

La CSRD – entrata in vigore il 14 dicembre 2022 per estendere l’obbligo di rendicontazione di sostenibilità a tutte le grandi imprese non soggette alla Direttiva 2013/34/UE sulla rendicontazione non finanziaria (dall’esercizio avente inizio il 1° gennaio 2025) e alle PMI quotate (dall’esercizio avente inizio il 1° gennaio 2026) – ha il principale obiettivo di introdurre una reportistica standardizzata in termini di struttura e contenuti, quindi comparabile e di qualità, che permetta di influenzare i modelli di business delle organizzazioni al fine di integrare i fattori ESG a livello strategico e di operations aziendali. Per raggiungere tale obiettivo, l’European Financial Reporting Advisory Group (EFRAG) sta redigendo gli European Sustainability Reporting Standard (ESRS), ovvero 12 standard per il reporting di sostenibilità che abbracceranno tutte le tematiche ESG seguendo il principio di proporzionalità (semplificati per le PMI).

La notizia più rilevante è che gli ESRS richiedono che il reporting si estenda anche alle realtà a monte e a valle della catena del valore dell’azienda, incorporando relativi dati sia di carattere sociale (condizioni di lavoro, accesso alle pari opportunità e questioni legate ai diritti umani, quali diritti sindacali, lavoro minorile, lavoro forzato e privacy) che ambientale (emissioni di CO2;Scope 3 per l’azienda di riferimento). In particolare, gli standard parlano di “due diligence”, da intendere come l’identificazione, la gestione e la mitigazione del rischio nella catena del valore aziendale, concetto perfettamente ricompreso nella CSDD.

La CSDD, adottata dalla Commissione Europea il 23 febbraio 2022, introdurrà nuovi obblighi di due diligence in materia ambientale e di tutela dei diritti umani nelle operazioni interne delle imprese soggette, nonché lungo tutta la loro catena del valore, in linea con i principi della CSRD. Benché il campo di applicazione riguardi le organizzazioni con più di 500 dipendenti e un fatturato complessivo superiore a 150 milioni di euro e, due anni dopo l’approvazione della legge, le PMI con più di 250 dipendenti e un fatturato complessivo superiore a 40 milioni di euro, esse appartengono ai settori considerati ad alto impatto  – tessile, agricolo, minerario – con catene di valore lunghe e complesse, a monte e a valle.

Ed è proprio questa la ratio con cui la norma amplifica il proprio raggio d’azione, coinvolgendo le aziende più piccole. Lo scenario che andrà nel breve a delinearsi a livello europeo sulla base della CSRD e della CSDD avrà come conseguenza diretta il coinvolgimento delle realtà appartenenti alla supply chain delle imprese soggette alle Direttive, a cui verranno richieste periodicamente informazioni quali-quantitative sulla sostenibilità oppure imposto il rispetto di determinati requisiti in materia socio-ambientale.

Considerare elementi di sostenibilità ambientale e sociale nella propria attività diventa un’esigenza per tutte le PMI e Microimprese direttamente o indirettamente coinvolte in questo scenario, e la consapevolezza sulle nuove misure normative introdotte è il primo passo per favorire la necessaria resilienza sul mercato. La sostenibilità, in tal senso, deve essere vista come investimento e opportunità per la generazione di valore nel lungo periodo, non come un mero costo a garanzia della conformità normativa.

Siamo a vostra disposizione per consolidare un approccio di responsabilità e sostenibilità nella vostra azienda, partendo dalla mappatura delle tematiche ESG rilevanti per l’impresa e i propri stakeholder, per poi pianificare un percorso volto alla loro progressiva integrazione a livello strategico e operativo, in base a metriche di misurazione riconosciute e adeguatamente selezionate.

Luminita Naca, Certified ESG Analyst, EFPA ESG Advisor

Raggiunto l’accordo per l’European Green Bond Standard

Nel continuo sforzo di migliorare il quadro della finanza sostenibile, al fine di accelerare la transizione verso la sostenibilità, la scorsa settimana il Parlamento europeo e il Consiglio d’Europa hanno raggiunto l’intesa per l’”European Green Bonds Standard” o EUGBS – standard che delinea una serie rigorosa di criteri di investimento e regole di trasparenza per gli emittenti di obbligazioni verdi.

In primis, la garanzia che tutti i proventi siano investiti in attività allineate con la tassonomia dell’UE (con una flessibilità che consente di investire 15% in attività economiche conformi alla tassonomia (“eligible”), ma in settori per i quali non sono ancora stati stabiliti i criteri di vaglio tecnico.

Gli emittenti saranno anche obbligati a dimostrare come questi investimenti si inseriscono nei piani di transizione dell’azienda nel suo complesso.

Il regolamento stabilisce un sistema di registrazione e un quadro di vigilanza per i revisori esterni dei green bond europei, ovvero i soggetti indipendenti responsabili di valutare se un’emissione obbligazionaria ha le caratteristiche per potersi chiamare “green”-  con l’obiettivo di standardizzare il lavoro di verifica dei revisori e migliorare la fiducia nel processo di revisione.

EUGBS

Altrettanto importante, il regolamento stabilisce che qualsiasi conflitto di interesse reale o anche solo potenziale sia adeguatamente identificato, eliminato o gestito e reso noto in modo trasparente. Potranno essere sviluppati standard tecnici che specifichino i criteri di valutazione e di gestione dei conflitti di interesse.

Per la prima volta sarà disponibile un modello standardizzato che gli emittenti potranno utilizzare per comunicare le informazioni sull’allineamento alla tassonomia dei green bond, riducendo così gli oneri amministrativi e l’incertezza sia per gli emittenti di green bond che per i loro investitori. Ciò consentirà agli investitori di valutare, confrontare e ritenere più facilmente che i loro investimenti siano sostenibili, riducendo così i rischi di greenwashing.

Benché l’uso del modello sia volontario, i legislatori europei confidano che il Green Bond Standard dell’UE venga adottato a livello internazionale.

I requisiti di divulgazione potranno essere utilizzati anche dagli emittenti di obbligazioni che non soddisfano tutti i requisiti per qualificarsi come Green Bonds: assoggetarsi volontariamente a requisiti di trasparenza ambiziosi porta il beneficio di una maggiore fiducia da parte degli investitori.

Luminita Naca, Certified ESG Analyst, EFPA ESG Advisor

Preoccupazioni per la mappatura della sostenibilità in impresa: da quando parte l’obbligo per le PMI?

“Da quando sarà obbligatorio anche per noi”? Questa è la domanda ricorrente da parte delle PMI a seguito del dilagare dei termini legati alla sostenibilità, ai rischi ambientali, all’attenzione sulla parità di genere e a tutto quello che viene fatto ricadere nelle tematiche ESG.

La questione è spesso vissuta, erroneamente, come un ulteriore obbligo burocratico di compilazione di un prospetto dedicato al consumo di acqua, produzione di CO2 o rispetto delle quote rosa.

In realtà, è semplicemente aumentata la diffusione dei termini ed il volume delle discussioni sul tema. E a livello europeo sono stati programmati degli obblighi di informazione strutturata per le aziende di maggiori dimensioni.

La normativa societaria italiana (e principalmente il Codice Civile) ha previsto da tempo un espresso obbligo di legge in merito alla comunicazione delle informazioni rilevanti  “di tipo ESG” nel bilancio di esercizio.

L’obbligo in questione è il comma 2 dell’art. 2428 C.C. e riguarda la generalità delle società di capitali italiane, con esclusione solamente delle società di minori dimensioni che redigono il bilancio in forma abbreviata e delle microimprese. Si richiede che gli amministratori riportino “una descrizione dei principali rischi e incertezze cui la società è esposta” nonché, “nella misura necessaria alla comprensione della situazione della società e dell’andamento e del risultato della sua gestione, gli indicatori di risultato finanziari e, se del caso, quelli non finanziari pertinenti all’attività specifica della società, comprese le informazioni attinenti all’ambiente e al personale”.

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Ma quante delle nostre imprese hanno ritenuto che gli indicatori non finanziari fossero realmente necessari per comprendere la situazione della società e “l’andamento del risultato della gestione, ovvero se in assenza di tali indicatori non finanziari il bilancio risultasse non trasparente e/o veritiero e, quindi, fuorviante per i suoi utilizzatori”?  In realtà ben poche.

È soprattutto in quest’ottica che si dovranno concentrare gli sforzi dei professionisti di diffondere il verbo della sostenibilità: presto tutte le principali società saranno tenute a esporre informazioni comparabili in merito alle questioni di sostenibilità e all’incidenza di queste sul proprio modello di business, con tutto quello che ne discende in termini di appetibilità e competitività.

Al fine di evitare di trovarsi impreparata rispetto alle sollecitazioni del mondo finanziario o nell’ambito delle catene di valore di appartenenza, con il prezioso supporto dei professionisti, è necessario che l’azienda proceda al più presto alla mappatura della situazione di fatto dei profili di sostenibilità con riguardo ai fattori ambientali (politica energetica, consumi e tipologia risorse naturali, entità emissioni e rifiuti, impatto dei rischi ambientali sulla situazione economica e finanziaria) e sociali (sicurezza e salute sul luogo di lavoro, politiche remunerative, formazione, politiche di genere e pari opportunità).

Le nostre aziende sono in gran parte più sostenibili di quello che sanno di essere ma sarà l’integrazione strategica e dinamica degli elementi di sostenibilità ambientale e sociale nei piani di sviluppo aziendale a guidare, monitorare, sviluppare e dimostrare la capacità stessa dell’azienda di essere in grado di crescere in un contesto economico, sociale e geo politico complesso come quello di oggi. E di domani.

Fulvio Degrassi

Momento di bilancio. Finanziario e non…

In questo periodo in cui le priorità delle imprese e dei professionisti sono maggiormente indirizzate alla redazione dei bilanci, vale la pena fare un paio di riflessioni rispetto all’altra “faccia” della reportistica: le comunicazioni sulla sostenibilità.

Infatti, con l’entrata in vigore della Direttiva (UE) 2022/2464 del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 dicembre 2022 in materia di rendicontazione societaria di sostenibilità (c.d. Corporate sustainability reporting directive ovvero CSRD) si introduce un nuovo significativo tassello nella costruzione di un quadro normativo europeo in materia di responsabilità sociale e ambientale delle imprese. Si punta alla costituzione di un sistema efficiente sotto il profilo delle risorse promuovendo, in una visione di lungo termine, la transizione verso un sistema economico sostenibile.

Il punto focale della nuova disciplina è rappresentato dalla estensione degli obblighi di rendicontazione di sostenibilità – già previsti con la precedente Direttiva 2013/34/Ue – a tutte le grandi imprese, nonché agli emittenti valori mobiliari ammessi alla negoziazione in mercati regolamentati comprese le Pmi, con la sola eccezione delle microimprese. È importante notare che anche le imprese costituite in Paesi terzi saranno vincolate alla produzione del sustainability report, a condizione che svolgano una parte significativa della loro attività nell’Unione – ricavi netti (eventualmente consolidati) superiori a 150 milioni di euro.

La deadline prevista per l’applicazione delle misure attuative della CSRD da parte degli Stati membri è scaglionata sulla base del criterio dimensionale: si partirà dagli esercizi aventi inizio dal 1 gennaio 2024 per le grandi imprese che superino i 500 dipendenti occupati in media durante l’esercizio, per concludere con gli obblighi in capo alle Pmi quotate, applicabili agli esercizi aventi inizio dal 1 gennaio 2026.

Il concetto di doppia materialità (finanziaria e di impatto) entra con forza nella rendicontazione attraverso le informazioni che la CSRD impone all’impresa di diffondere: l’incidenza dell’impresa «sulle questioni di sostenibilità» e, allo stesso tempo, il modo in cui queste influiscono sull’andamento della stessa, sui suoi risultati e sulla sua situazione.

Gli elementi da descrivere comprendono:

  • (i) il modello e la strategia aziendali adottati in relazione ai rischi connessi alle questioni di sostenibilità;
  • (ii) i piani atti a garantire che il modello e la strategia aziendali siano compatibili con la transizione verso un’economia sostenibile;
  • (iii) gli obiettivi temporalmente definiti connessi alle questioni di sostenibilità individuate dall’impresa, inclusi, ove opportuno, obiettivi assoluti di riduzione delle emissioni di gas serra, evidenziando i progressi realizzati nel conseguimento degli stessi accompagnati da una dichiarazione che attesti se tali obiettivi siano basati su prove scientifiche e, infine;
  • (iv) la valutazione dei principali impatti negativi legati alle attività dell’impresa e alla sua value chain (ivi inclusi i relativi prodotti e servizi, rapporti commerciali e di fornitura).

Al fine di favorire la comparabilità tra le informazioni fornite dalle imprese, la Commissione adotta specifici atti delegati ad integrazione della Csrd, stabilendo princìpi di rendicontazione di sostenibilità che precisino i dati che le imprese sono tenute a comunicare – anche alla luce del settore di riferimento – nonché la struttura da utilizzare per presentare tali informazioni.

L’EFRAG (European Financial Reporting Advisory Group) ha elaborato i c.d. ESRS (European Sustainability Reporting Standard) ovvero i princìpi che guideranno la rendicontazione di sostenibilità, e di cui a novembre sono state approvate in seno alla Commissione le prime bozze.

L’estensione degli obblighi di rendicontazione (l’entrata in vigore della CSRD renderà progressivamente vincolanti gli obblighi di disclosure di sostenibilità per circa 40 mila aziende UE) e la previsione di standard di riferimento per l’esposizione dell’informativa di sostenibilità confermano ulteriormente le tematiche Esg come parte integrante della vita delle imprese e dei relativi stakeholder, ma anche e soprattutto delle decisioni di investimento.

Assistiamo ad uno scenario in rapida evoluzione, scenario nel quale aumenta la richiesta di informazioni sulla sostenibilità da parte del sistema creditizio, anche per l’erogazione dei finanziamenti e – di conseguenza – si consolida la consapevolezza che la disclosure delle informazioni sulla sostenibilità e la gestione strategica di tali aspetti sono diventate condizioni essenziali per l’operatività dell’impresa.

Infine, risulta meritevole di nota il fatto che le grandi imprese soggette alla rendicontazione nell’ambito della CSRD dovranno fornire informazioni su diversi indicatori relativi alla loro catena del valore. Questo implica che alle PMI non quotate ma appartenenti alla supply chain di un’impresa soggetta a rendicontazione possono essere richieste informazioni sulla sostenibilità da parte della società cliente, oppure possono essere imposti requisiti di sostenibilità, ad esempio attraverso obblighi contrattuali.

L’impatto favorevole sull’immagine e la reputazione dell’azienda, una maggior fidelizzazione di clienti e lavoratori, l’aumento di valore percepito dagli stakeholder sono ulteriori argomenti a sostegno che la comunicazione sulla sostenibilità va considerata un’opportunità, da cogliere anche quando non è un obbligo normativo.

Gli indicatori diversamente competitivi dell’impresa sostenibile

Le imprese sostenibili non solo quelle che si «adattano» ai cambiamenti, riducendo gli effetti negativi in tema ambientale, ma quelle che oggi stanno investendo in nuovi modelli di business e che si danno obiettivi diversi dal passato: indicatori diversamente competitivi.

Sostenibilità, oggi

EU Green Deal, Tassonomia, SFDR, CSRD, ESRS… tutti elementi fondamentali nella trasformazione dell’economia e della società nelle loro versioni migliori, sostenibili. Il settore ESG sta crescendo, maturando e sta distillando conoscenza, esperienza e performance. Le linee guida di sviluppo dei modelli di business sostenibili sono costantemente riviste, in virtù dei cambiamenti nel pensiero strategico sulla sostenibilità, sia dei regolatori che degli investitori. Proviamo a rivederne qualcuno.

Greenwashing – dopo una prima fase di occhi grandi quando uno diceva che ha un prodotto sostenibile, il mercato – compatibilmente con la penetrazione dei concetti e la loro diffusione capillare anche fra chi non è “addetto ai lavori” – vuol vedere cosa c’è davvero dietro queste affermazioni. Complici varie campagne di indagini e i conseguenti scandali, anche internazionali, l’aumento della disponibilità di strumenti e prodotti finanziari con l’etichetta ESG (troppo sostenuto perché sia integralmente veritiero), la stretta regolamentare sugli ECO label e la transizione verde, gli investitori chiedono informazioni specifiche, risultati concreti su KPI chiari e si aspettano che le aziende abbiano un disegno complessivo di integrazione della sostenibilità nei loro modelli di business.

L’indirizzo e le linee guida di ESMA, più volte iterate, che mira ad arrivare all’integrazione delle informazioni ESG e degli assessment di sostenibilità nelle analisi finanziarie, una integrazione fatta di concetti limpidi e regole d’ingaggio che da una parte riconducano gli aspetti ESG, anche quelli puramente qualitativi, ad un ambito quantitativo in chiave rischio-opportunità e dall’altra supportino gli investitori fornendo loro la base di comparabilità caratteristica delle analisi finanziarie.

L’aspetto formativo di cui si deve far carico la finanza sostenibile nei confronti delle aziende, in base all’incontestabile consenso sulla rilevanza delle questioni ESG per la resilienza e la competitività delle aziende. Al di là della necessità di un esame più accurato delle informazioni ESG che vengono rapportate e comunicate dalle aziende, chi si concentra solo sulla rendicontazione sta perdendo di vista l’essenziale. È necessario un lavoro educativo e formativo per mostrare e dimostrare come l’integrazione della sostenibilità nella strategia aziendale può creare un vantaggio competitivo, guidando l’efficienza operativa, l’innovazione, il coinvolgimento dei dipendenti, la resilienza della catena di approvvigionamento, migliori capacità di mitigazione dei rischi e altri vantaggi aziendali strategici.

Il vantaggio competitivo dato dalla sostenibilità deriva da una buona strategia, cultura, KPI ed esecuzione. Le metriche di reporting sono l’ultimo passaggio, non il primo.

È già qualche tempo che raccontiamo alle aziende che la sostenibilità costa, ma che non è un costo. Diciamo loro che è un investimento. Pertanto, come in qualsiasi investimento (e questo l’azienda lo sa!) va tracciato il return on investment. Quale miglior incentivo perché l’organo di governo dell’azienda inizi seriamente a pensare in maniera integrata e strategica ad approcciare le questioni ESG rilevanti per il proprio business?

Non si butta via nulla: si parte sempre dal coinvolgimento degli stakeholders e dall’analisi di (doppia) materialità: finanziaria e di impatto.

Con la matrice di materialità in mano, le successive analisi – PESTLE (Politica, Economica, Sociale, Tecnologica, Legale e Ambientale) orientata alla sostenibilità e quindi SWOT (Forze, Debolezze, Opportunità, Minacce) indirizzeranno l’azienda alla comprensione del proprio posizionamento per la gestione / mitigazione dei rischi e per meglio sfruttare le potenziali opportunità.

Ragionando, aggregando, distillando, prende forma una coerente strategia e pianificazione aziendale con conseguente definizione degli obiettivi e gli indicatori chiave (KPI).

La sostenibilità è trasformazionale. Pertanto, per coerenza gestionale, la cultura, la governance e gli incentivi devono essere allineati. Ergo i KPI ESG a livello di organizzazione saranno approvati dall’organo di governo, adottati e supportati dalla leadership esecutiva e integrati nella programmazione operativa e nella struttura delle retribuzioni. Ad oggi, le metriche ESG utilizzate nel processo decisionale misurano principalmente input e attività (ovvero politiche, sistemi di gestione, informativa, investimenti) piuttosto che output e impatti sugli economics e sugli stakeholders.

E qui arriva il bello: le aziende devono poter tracciare i ritorni finanziari, intangibili (ad es. mitigazione del rischio, coinvolgimento dei dipendenti) e tangibili (ad es. efficienza operativa, vendite) associati alla loro strategia di sostenibilità integrata. Come? Facendo parlare i temi, i sottotemi, gli indicatori, le metriche e gli obiettivi di sostenibilità con il cash flow e la situazione patrimoniale.

Salutiamo con soddisfazione le iniziative di creazione di simili piattaforme e framework, come l’Impact-Weighted Accounts Project oppure il Return on Sustainability Investment Framework, che hanno come obiettivo proprio la creazione di una illuminante chiave di lettura delle informazioni ESG utili sia per le aziende che per gli investitori / asset managers e le aziende di rating.

Fonti: hbs.edu; stern.nyu.edu

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